AMA_DIARIO DI SCUOLA – – Il mondo è dietro l’angolo se hai occhi per guardarlo
di Giorgia Salicandro
31 e 31 ottobre, 6 e 7 novembre 2015, con Edoardo Winspeare
—
«Mia madre mi disse non devi giocare con gli zingari nel bosco». Pescando un’immagine a
caso della nostra prima lezione all’accademia AMA, mi viene in mente questo verso di
Fabrizio De Andrè. Cresciuto nello strano indirizzo di un castello, allevato in collegio e poi
formatosi all’estero, Edoardo Winspeare ha messo in un fazzoletto il corredo di storie e
strumenti “come si conviene” per mettersi in viaggio verso il proprio bosco.
Una strada personale, sconveniente, a ritroso, verso la dimensione pericolosa di un
Salento ancora sconosciuto alla macchina da presa. E scegliendo di guardare “quello che
non c’è”, ha contribuito a creare quell’immaginario, oggi internazionale, che passa dalla
Taranta e dagli ulivi, dalle radici di famiglia e dal movimento, esuberante quanto talvolta
spregiudicato, del sangue vivo. Tutto è cominciato da una folgorazione. «Avevo bisogno
di tornare alla realtà – racconta – il Salento ha questo vantaggio: si è facilmente
contaminati dalla realtà». Le facce, le mani, il sole quasi zenitale di questa terra hanno
prodotto il richiamo necessario.
Non ci “insegnerà” a fare cinema, piuttosto racconterà ciò che il cinema significa per lui, e
in che modo lo ha attraversato. Esordisce così, in questa prima lezione del primo anno di
corso dell’accademia AMA. Ci ritroviamo qui al Cineporto di Lecce come in un’intersezione
di direttrici diverse. Essere attori, regolare i nostri conti, scappare da uffici, studi e aule
universitarie. Siamo un magma di volontà discordi, ma che si toccano in un punto comune
dei nostri desideri. Guardare oltre.
La storia di questo rapimento candido, disarmato e innocente, ci convince, ci invita a
entrare.
«Volti nuovi, occhi nuovi, alcuni timidi, altri riservati, altri francamente accoglienti – riflette
Gabriella Margiotta – tutti animati dalla stessa passione, una malattia incurabile, la
definisco io…entra il “nostro” Edoardo Winspeare, alto, dinoccolato, timido, arrossisce, e
mentre tutto si scioglie, è più fluido il discorso, invogliato da domande e grandi sorrisi di
interesse vero».
La lezione è una confessione e un’interlocuzione. Parliamo molto – qualcuno ne ha
bisogno più degli altri. Facciamo tutti molte domande.
Il nostro insegnante sparge input. Li raccoglie, scrupolosamente, Paolo Stanca, il più
grande tra noi, che qui è tornato ad essere un diligentissimo allievo: «Nel cinema, il
pubblico dell’attore è il regista. Il regista è un manipolatore, provocatore e motivatore».
Si racconta, Winspeare. Racconta delle dinamiche ibride di una famiglia che ha voluto
chiudere tutta nei suoi film, dei personaggi scovati nei bar di paese. Per lui, la storia che
andrà a sviluppare si annida là, in quei quei volti che hanno già in sé il futuro di un frame
o l’immagine di un manifesto. Il lavoro del regista, dunque, è un rimestare e uno smuovere
la verità, portare scompiglio là dove “c’è già” un carattere, un colore, una voce. Non è un
imperativo categorico, si affretta a precisare, ma una questione di poetica – la sua.
Così, se stesse girando un film probabilmente preferirebbe la direzione di uno sguardo o
una ruga del volto alla padronanza della recitazione, ma qui intanto leggiamo e ci
sforziamo di essere anche ciò che non siamo.
A turno, con un copione in mano, diventiamo una coppia in crisi e un gruppo di ultras, una
militante politica e un malavitoso locale, un ragazzo ingenuo, un sindaco. Leggiamo più
volte, sino a quando non ci sentiamo “addosso” la forma di accenti, sospensioni e punti di
domanda. Una prima volta per comprendere il testo, una seconda per svolgerne il
sottotesto, dando voce al monologo interiore che farfuglia dubbi, ricordi, strategie premessi
all’apparente semplicità del “detto”, una terza per portarne all’estremo l’intenzione, cercare
la qualità esatta dell’emozione che sollecita la parola, un’ultima volta per tornare all’origine,
spogliarci dell’eccesso. La potenza della recitazione è messa al bando, al cinema, per il
bene della verosimiglianza, commenta il nostro insegnante. Nel suo cinema poi, è un
valore pressoché assoluto.
Winspeare ci osserva, suggerisce una smorfia, un atteggiamento a cui aggrapparci per
mettere in atto l’esperimento. Partire sempre dal corpo, dalla memoria delle sue reazioni:
per essere trovata, per essere trasmessa, l’emozione ha bisogno d’essere evocata dal
proprio gesto peculiare. Basta un pugno sul tavolo, la contrazione della mascella, un
sospiro. Ma stare in agguato, sempre, dalla rappresentazione: non fingere, ma “stare in
ascolto” è la premessa necessaria. La strada giusta è quella orientata a una reazione che
sia viva, che sia autentica.
«L’attore è curioso. L’attore di cinema deve essere credibile. L’attore di cinema interpreta il
personaggio trasferendo su questo le sue emozioni» appunta Paolo Stanca.
Un film è un gioco serio, commenta Edoardo. È l’ontologia stessa di un’opera
cinematografica, che coinvolge tutti, regista e attori in primis. Per Rosaria De Benedittis,
c’entra molto la curiosità del nostro insegnante: «Sul viso di eterno adolescente colpiscono
in particolar modo gli occhi vispi, attenti, che sorridono e comunicano ancor prima di
proferire, mettendo in risalto il suo pensiero giocoso e gioioso della vita. Una filosofia che
trasmigra naturalmente nell’ambito lavorativo, dove l’esigenza del giocare seriamente
diventa innata, fondamentale per dare sfogo alla sua inventiva, alle sue certezze, al suo
impegno. Winspeare è un uomo che emoziona, come può emozionare un uomo
innamorato qual è, come può emozionare un uomo “ben educato”, ossia abituato a far
venire fuori, ad esprimere con stile e intelligenza la propria originalità e il proprio talento
creativo».
Trascorriamo con lui le prime quattro lezioni del corso. Ai primi di novembre conosciamo
tutti i nostri nomi, abbiamo condiviso diversi pranzi e almeno un particolare della nostra
storia, sorrisi, molti, ma anche sbadigli e, pure, sguardi di sbieco. Siamo una classe. «AMA
è anche la terza persona singolare del verbo “amare” – riflette Antonella Sabetta – e cosa
c’è di più bello e di più importante dell’amore passionale – e per “passionale” qui intendo il
teatro e il cinema? Questo mio primo piccolo viaggio nel mondo del cinema, grazie alla
figura e alla professionalità di Edoardo Winspeare, mi ha dato una bella energia, una
visione più completa di tutto quel sistema. Interessante il percorso. Si parte da un’idea che
poi prende forma, diventa una sceneggiatura, da cui prendono vita i personaggi e infine
nasce un film. Un po’ come la vita».
E, a volte, basta guardarsi dietro l’angolo per trovare una bella storia. Ce ne ricorderemo
anche noi. Dite a mia madre che non tornerò.